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year 2025
Atti I° Ciclo Convegni Nazionali A.D.S.I.
Il patrimonio culturale italiano rappresenta qualcosa di unico ed irriproducibile una volta perso o abbandonato; rappresenta quello che più ci identifica agli occhi del mondo, ma non gli viene riconosciuto, quantomeno in termini concreti, il ruolo che può svolgere per il futuro della Nazione. Perché una risorsa così diffusa capillarmente in tutto il territorio nazionale, isole comprese, che peraltro rappresenta la nostra memoria, l’identità dei territori in cui è collocata è spesso vista più come un peso, un ostacolo allo sviluppo anziché una risorsa per lo sviluppo? Giacomo di Thiene
Le risposte possono essere tante, ma una è certamente quella di una mancanza di consapevolezza di cosa potrebbero fare i tanti attori, che su questi beni hanno interessi complementari tra loro, se si conoscessero meglio, se condividessero di più, se mantenessero relazioni costanti: potrebbero certamente contribuire a rendere tali beni un’effettiva risorsa e cambiare la percezione che di questi beni hanno parte della società e delle istituzioni locali o nazionali che siano. Ecco, questo ciclo nazionale di convegni organizzato da ADSI con i tanti partner vuole, nel suo piccolo, rispondere a questa esigenza: creare un tavolo permanente di confronto che si riunisce periodicamente - almeno 5 volte all’anno - per discutere dei problemi più che delle buone prassi, per provare a dar loro soluzioni creando conoscenza e condivisione tra realtà che sono chiamate alla tutela e valorizzazione di questi beni. Come avrete immediatamente colto dall’elenco dei nostri partner si tratta di realtà diverse tra loro, ma che gravitano e prosperano, o periscono, attorno ai beni culturali che interessano una filiera molto più vasta di quanto si può immaginare in prima istanza: va dal mondo del restauro a quello della conoscenza e del turismo passando per l’innovazione tecnologica. Ognuna di queste ha poi le sue declinazioni: beni mobili ed immobili, affreschi, tessuti, carta, …; storici dell’arte, archivisti, … agenzie di incoming, guide turistiche, … enogastronomia, vini, … e si potrebbe continuare a lungo ma per non annoiare nessuno aggiungo solo la suggestione di pensare – ognuno per proprio conto - alla diversa microeconomia e tipo di vita che si sviluppa anche solo nelle piccole città d’arte o borghi e a quella che si registra in centri di pari dimensione e posizione geografica. Nel solo settore del restauro e del turismo il patrimonio culturale privato – costituito da circa 44.000 immobili sugli approssimativamente 270.000 totali ad oggi censiti dal MIC – occupa circa il 1,75% della popolazione in età da lavoro, ma ad oggi risultano oltre 13mln di metriquadrati di patrimonio culturale privato inutilizzato.
Un potenziale occupazionale e di valorizzazione dei nostri territori immenso non solo in termini materiali, ma anche immateriali perché lo sviluppo che si crea attorno a questi beni - come avrete modo di leggere - ha la capacità di combinare fattori di sviluppo tradizionali con quelli che fanno riferimento a condizioni intangibili che tendono a favorire la qualità della vita, le istituzioni, i valori culturali della comunità. Come è possibile che attorno a tali beni peraltro non delocalizzabili altrove, a differenza di tante altre industrie, non si sviluppi una strategia sulla base dei pochi numeri sopra citati e che troverete in modo più approfondito descritti nelle varie relazioni? Un piano che li veda al centro di progetti di rivitalizzazione quantomeno delle aree interne in cui sono principalmente collocati e che rappresentano oltre la metà – in rapida decadenza - dell’intero territorio nazionale? Come è possibile che le Soprintendenze siano sempre più viste come l’autorità che blocca ogni progetto ed innovazione quando hanno avuto il merito di preservare la storia del nostro Paese? Perché si parla sempre e solo di loro in termini negativi e non anche dei progetti di recupero bloccati da piani degli interventi che non vengono approvati se non dopo anni o dell’impossibilità di realizzare interventi coerenti a causa dell’obbligo, anche per edifici vecchi di centinaia di anni, di rispettare norme edilizie pensate per edifici di nuova costruzione? Ancora una volta una delle risposte è la mancanza di una coscienza comune, della capacità di parlarsi e di comprendere il proprio ruolo in un contesto più ampio da parte dei soggetti coinvolti in questo ciclo di convegni. Un contesto in cui la presentazione ed approvazione del singolo progetto va vista in un universo più ampio del singolo atto. Va vista nella responsabilità che ogni attore assume rispetto la comunità e la nazione, come inequivocabilmente sancito dagli artt. 9 e 118 della Costituzione.
La società, e con essa le sue esigenze, cambiamo in modo sempre più veloce ed il patrimonio culturale per restare attuale deve adattarsi. Lo devono fare i proprietari, i restauratori e le soprintendenze per citare una parte delle filiere interessate che, assieme, devono definire nuove regole che rispondano a queste nuove esigenze e ai giusti criteri di tutela. Certo non potremo essere noi soli a cambiare la percezione del patrimonio culturale e a definire norme che ne consentano la tutela e valorizzazione che meritano anche per il valore sociale, oltre che culturale ed economico che rappresentano, ma è giusto smettere di dire agli altri cosa fare, limitarsi ad evidenziare le loro mancanze. Bisogna cominciare a fare, a collaborare quanto più strettamente possibile con chi è portatore di finalità simili alle nostre, per definire possibili strade da percorrere assieme, consapevoli che nessuno potrà mai farsi promotore di determinate istanze se non chi vi ha un primario interesse e necessità. Cominciamo quindi a costruire una conoscenza e coscienza comune che deve diventare base di quell’Associazione Necessaria d’Impresa che sola potrà portarci all’indispensabile sensibilizzazione della Società, al farle riconoscere i beni culturali quali perno di sviluppo a lungo termine delle aree in cui sono collocati.
Arch. Giacomo di Thiene